Art-History

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Gardens' Art & History - Arte e Giardini Storici

THE GARDEN OF THE HIGH OFFICIAL
OF AMENHOTEP(AMENOPHIS) III.
 THEBES  [Ed. also known as Sennefer'sGarden]



The earliest gardens were grown for practical reasons. 
People grew herbs or vegetables. However when man became civilised an upper class emerged with the leisure to enjoy purely decorative gardens. 
They also had servants (or slaves) to do the Gardening for them.

The history of ornamental gardening may be considered as aesthetic expressions of beauty through art and nature, a display of taste or style in civilized life, an expression of an individual's or culture's philosophy, and sometimes as a display of private status or national pride—in private and public landscapes. 
see on wikipedia History of Gardening

The Alhambra in Granada, 
which is based on 
Islamic gardening principles
Look around most of our own gardens today and you’re unlikely to find much symbolism. In fact, since around 1700 gardens in Europe have been largely devoid of allegory and metaphor.


Instead gardens are more for pleasure and beauty. We aim to create harmonious combinations of flower colours and foliage textures. We want plants of different heights and shapes. We desire visual splendour in the garden throughout the year. The emphasis is on the senses, especially visual impressions. But this is not the only way to think about garden design.

The idea of symbolic garden design has its origins in ancient civilisations. Thousands of years ago the Persians invented the ‘Paradise Garden’. To enter the garden you would have to cross water channels, which represented the four rivers of heaven. Once inside you would find a profusion of fruit trees, symbolic of the fruits of the earth created by God.

Chinese gardens were also full of allegory and meaning.

One hundred years before the birth of Christ, the Han Emperor Wei designed a parkland containing artificial lakes and islands to represent an old myth about the dwelling places of immortal beings. In Japanese Zen gardens, rocks were chosen and placed to symbolise man’s passage through the world to eternity.







Leonardo Da Vinci's 
Virgin of the Rocks 
(Louvre version) 
contains extensive use of symbolic flowers 
such as the columbine 
(representing the Holy Ghost)


In medieval Europe, too, the plain green lawns in monastic cloisters were considered an important source of spiritual refreshment and contemplation, and symbolised renewal and everlasting life. The design of the renaissance garden of the Villa Lante in Italy represents the tale of humanity’s descent from the Golden Age, based on Ovid’s Metamorphosis.
In the Victorian ‘Language of Flowers’, adopted from an earlier Turkish tradition, flowers were used to symbolise feelings.

The meaning of each flower was often based on stories from Greek mythology, Biblical tales or ancient folklore. 
Examples include snowdrops as a symbol of hope, garden chervil for sincerity, bittersweet for truth, broom for humility, orange trees for generosity and rudbeckia for justice. Some plants had more negative associations: scarlet Auricula for greed, Agnus castus for indifference, and cherry trees for deception.

A related approach is the creation of Shakespeare Gardens – popular in the United States – which contain plants mentioned in the plays. The plants often have symbolic meanings, as in Ophelia’s speech in Hamlet: ‘There’s rosemary, that’s for remembrance. Pray you, love, remember. And there is pansies, that’s for thoughts.’
Symbolic gardens have occassionally appeared at the Chelsea Flower Show. Sir Terence Conran’s Peace Garden commemorated the 60th anniversary of the end of World War II. Plants were selected for their symbolism of peace, war or remembrance, with a predominance of white flowering plants and a scattering of scarlet poppies. Water flowed over a stone wall with the word ‘peace’ written on it in different languages and each pebble in the pool represented a life lost in the war.

Charles Jencks's Garden of Cosmic Speculation
The most important contemporary example is Charles Jencks’s ‘Garden of Cosmic Speculation’ in Dumfriesshire, Scotland, which has a DNA garden that is taking symbolic garden design into the future. It contains a series of six cells and in each there is a different kind of idea, which is symbolised by the planting.

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Le radici profonde dell’arte dei giardini 

 
L’immagine dei del Giardino del Re presso Mahan, Provincia di Kerman, Iran, ben si presta ad introdurre il tema del giardino e della sua progettazione.

Essa mostra il fastoso Giardino del Re presso Mahan nel deserto della provincia di Kerman in Iran. Nell’antica Persia il deserto era sinonimo di locus horridus contrapposto al locus amoenus, l’uno e l’altro topoi retorici i cui caratteri erano precisamente codificati (locus horridus/terribilis, appunto il luogo terribile. Nel locus amoenus l'uomo ritrova la parte selvaggia e positiva di sé come individuo). Così il locus amoenus rappresentava il luogo di delizie in cui le anime potevano trovare tutto ciò che desideravano (Rubieray Mata, 1994). 


È un posto immerso tra piante ed alberi, spesso situato nelle vicinanze di una fonte o di un ruscello, ricco di ombra ed in qualche modo simile al Paradiso terrestre. Anche segni di vita animale, come il canto degli uccelli, possono contribuire al quadro naturale rappresentato.
Basandosi sui commenti dell'Eneide di Servio Mario Onorato, Sant'Isidoro di Siviglia lo definiva nelle sue Etymologiae come un luogo lontano da attività economiche, ma ricco di piacere.Non a caso, nella cultura persiana preislamica la parola pairidaeza – da cui paradiso – veniva usata per designare al contempo il giardino e il recinto (Alemi, 1994): il giardino, dunque, come luogo di delizie, spesso recintato e contrapposto alla  natura, se non ostile, perlomeno non sempre amichevole o pacifica come il giardino, quindi a volte non adatta al pieno godimento dei sensi.

I Giardini pensili di Babilonia situati a circa 50 chilometri al sud della città di Baghdad furono la seconda delle Sette meraviglie del mondo. I giardini furono costruiti da un'idea del re Nabucodonosor II circa l'anno 590 a.C. Secondo la legenda, il re avrebbe fatto costruire per sua moglie Semiramis, i misteriosi Giardini pensili di Babilonia per il riccordo della vegetazione delle montagne del suo paese, cioè «La Médie», attualmente chiamato Iran.

Giardini_Pensili.jpg
giardini di Babilonia




Sui giardini, si coltivavano piante, alberi mesopotamici, provenienti anche dalle montagne della Médie. Ad esempio, nel primo piano di circa 8 metri di altura, si possono vedere nel disegno grandissimi alberi come i platani, palme, dattero, pino e ancora cedro. Sul secondo piano di tredici metri, vediamo i ginepri, cipresso e una quantità degli alberi da frutta. A parte gli alberi anche differenti fiori per ornare il luogo. 

Malgrado l'aridità della regione, la storia racconta che la regina poteva ammirare le rose ogni giorno nel suo giardino e ciò la rendeva molto allegra. 
Va notato come, nell’esegesi del mito edenico quale archetipo del giardino, esso venga identificato non solo come luogo del piacere sensoriale, ma anche come luogo propizio per una forma di piacere rivolto all’interiorità, alla contemplazione e alla meditazione. 

Secondo Rosario Assunto, il mito che più propriamente rappresenta il giardino non sarebbe l’Eden nel suo insieme, bensì l’albero della conoscenza del bene e del male che si trovava al suo centro e i cui frutti non erano fatti per essere mangiati, ma solo per essere contemplati; quell’albero non era riducibile all’utilità e al piacere sensoriale, ma era per la sola contemplazione. Il giardino, a differenza della campagna, non è natura coltivata per l’utile, ma natura formata per la pura contemplazione estetica: l’utilità del giardino sta nella sua bellezza (Assunto,1987).

Per quanto l’interpretazione delle radici mitologiche del giardino, possa apparire discutibile, ciò che è interessante ai fini della progettazione è questa duplice polarità del sentimento della natura che nel giardino trova espressione: da un lato, il sentimento di una natura come luogo del piacere dei sensi che invita all’estroversione e, dall’altro, di una natura come luogo propizio all’introversione. In effetti, queste due polarità estetiche hanno radici profonde e – come vedremo non sono rinvenibili solo nella storia del giardino come sentimenti della natura, ma costituiscono tuttora quel sottofondo con cui il giardino contemporaneo continua a misurarsi, anche dopo l’affievolirsi dei miti d’origine.

I piccoli giardini e l’archetipo morfologico dell’hortus conclusus
Nella città può capitare di progettare piccoli giardini collocati all’interno del tessuto residenziale o di edifici pubblici, o dentro più ampi parchi. Questo tipo di progetto si trova ad affrontare una tematica riconducibile a quella dell’archetipo morfologico dell’hortus conclusus. Affermatosi soprattutto in Italia durante il Medioevo, l’hortus conclusus ha una origine ben più lontana nel tempo e, in qualche modo, rinvenibile in tutte le culture che hanno prodotto giardini. Già lo si è ricordato con riferimento alla cultura dell’antica Persia, da cui avevano attinto i greci, come testimoniano le descrizioni di Senofonte, e successivamente i romani (Tagliolini, 1988). Peraltro questo modello finirà per codificarsi definitivamente con l’avvento dell’Islam e del mito edenico della narrazione coranica (Petruccioli, 1994). Ma a questo idealtipo del giardino in sé conchiuso, isolato dal mondo della natura esterna sono riconducibili innumerevoli altri giardini, tra cui anche molti giardini cinesi antichi (Cheng, 1982).

Non è questa la sede per un’interpretazione storiografica di questi giardini, tra loro diversi in ragione delle profonde differenze dei contesti storici e culturali; tuttavia può risultare utile, per il progettista dei giardini, porsi nella condizione di colui che è unicamente interessato a cogliere quel sentimento della natura che ancora oggi quei giardini sanno esprimere, traendo da essi un insegnamento utile per la scoperta di quel meccanismo nascosto attraverso cui l’arte dei giardini sa esprimere in modo poetico il senso della natura e del nostro rapporto con essa.
Possiamo così esaminare alcuni esempi di giardini molto diversi per luogo e per epoca, ma tutti riconducibi all’archetipo morfologico del giardino in sé conchiuso, cioè di un giardino, generalmente di modeste dimensioni, il cui confine è costituito da un recinto che lo isola completamente dal resto del mondo: il giardino in sé conchiuso si nega al paesaggio esterno, si estrania da esso e crea al proprio interno il paesaggio ideale di una natura addomesticata al solo scopo di esaltare il godimento che da essa si può trarre.

Un primo esempio è proprio quello dell’hortus conclusus medioevale, testimoniato ormai solo più da una pur ricca documentazione iconografica tra cui quella della Fontana di Giovinezza, miniatura del De Seta, presso Biblioteca Estense, Modena, che lo rappresenta in forma allegorica. 


Esso è recintato da un muro; le uniche aperture sono significativamente rivolte alla città e non alla natura circostante: quelle aperture denunciano che esso è un prodotto della cultura della civitas ed è fatto per essa, opponendosi alla natura non “civilizzata”. Si presenta come giardino di delitiae: vi è l’acqua (la fonte della giovinezza), vi sono fiori, frutti; dunque tutti i doni che la natura può offrire, disposti per ospitare letture, canti e amplessi amorosi. La ricca varietà della natura fa da teatro per il godimento sensoriale.

Un modello analogo è rinvenibile nei dipinti dei giardini degli harem interni ai palazzi Moghul (si veda il dipinto "Giardino di un harem" acquarello di scuola Moghul (David Collection, Copenhagen). 

Passando dall’allegoria ai casi concreti, possiamo considerare uno dei più bei giardini segreti, quello di villa Capponi ad Arcetri (Giardino segreto di Villa Capponi ad Arcetri.), il quale potrebbe essere identificato come il giardino dei profumi: il profumo del bosso del parterre, dei fiori in esso incorniciati, delle rose e dei glicini addossati alle pareti. Il muro che lo racchiude fa da scrigno ai profumi che variano d’intensità a seconda delle ore della giornata, della presenza del sole o del fresco della sera i quali ne esaltano ora l’uno, ora l’altro. Vi sono poi giardini che hanno fatto dei suoni della natura il loro tema dominante.

Ad esempio il Patio de Acequia del Generalife di Granada: una semplicissima lama d’acqua nella quale ricadono sottili e argentei zampilli che così risuonano in una continua variazione, moltiplicata anche solo da leggeri aliti di vento ed esaltata dal porticato del patio, che vi fa da cassa armonica, tanto che il suono dell’acqua già lo si percepisce dai lunghi corridoi d’ingresso in cui si espande raggiungendo le stanze interne. 


Di contro a questi giardini che invitano al godimento sensoriale della natura (profumi, suoni, colori), ve ne sono altri che sembrano usare la natura per estraniarsi da essa. L’esempio, che da questo punto di vista rimane forse insuperato, è il giardino di sabbia e di pietre del tempio di Ryoanji a Kyoto. Nell’iconografia Zen esso rappresenta il “mare del nulla”, ed è di fronte al bianco schermo della cristallina sabbia del mare del nulla che il cultore della mistica Zen si dedica a quell’esercizio di “purificazione della forza percettiva” (Herrigel, 1930) che lo conduce alla contemplazione estatica del “satori”. 

Un altro splendido esempio di giardino per il raccoglimento interiore è il quattrocentesco giardino di Palazzo Piccolomini a Pienza. Il suo disegno riprende il rigore monacale dei giardini dei chiostri: l’impianto a croce con la fontana centrale e una semplice bordura di bosso intorno ai riquadri erbosi. Giardino conchiuso che il papa Giulio II, uno dei primi grandi umanisti, volle quale luogo di raccoglimento legato al palazzo. Va però segnalata una significativa rottura del completo isolamento, rappresentata da tre aperture che consentono di ammirare, dal chiuso del giardino, lo sconfinato fondale della valle dell’Orcia, sulla quale peraltro il palazzo si apre con tre ordini di logge.
Il giardino si ispira al modello dell’hortus conclusus medioevale, ma il nuovo sguardo che il Rinascimento riserva alla natura, non più vista come un locus horridus, ma come paesaggio, istituisce una nuova relazione tra giardino e contesto paesaggistico.
Potremmo esaminare molti altri esempi di giardini riconducibili all’archetipo morfologico dell’hortus conclusus, ma questi pochi casi sono sufficienti per gettar luce su questioni fondamentali per l’arte dei giardini. Innanzitutto, il giardino si misura con una concezione (o, forse sarebbe meglio dire, con una mitologia) della natura: esso ne è una sorta di concretizzazione metonimica e metaforica al tempo stesso. E per quanto ci ingegniamo nella ricerca delle infinite possibili figure retoriche di questo mito, non possiamo fare a meno di riconoscere che esse finiscono per virare verso due opposte polarità di senso, che sono poi quelle già narrate nella mitologia edenica: una natura che invita all’estetica dei sensi ed una che si offre come luogo del raccoglimento in sé.
Se vogliamo che il giardino viri verso la prima polarità dobbiamo giocare con la molteplice varietà del naturale: gli infiniti giochi e suoni e luci dell’acqua; i colori, i profumi e le forme dei fiori e dei loro avvicendamenti stagionali; la grande varietà di arbusti ed alberi e dei loro frutti e delle loro forme e dei colori e delle forme delle loro foglie e delle trame dei rami. Il giardino della sensorialità è anche il giardino che rappresenta la ricca molteplicità e variabilità della natura, la sua pienezza espressiva.

Se, all’opposto, vogliamo privilegiare il momento contemplativo, bisogna mirare all’estetica del vuoto, all’essenzialità, al deserto; al giardino che con il poco evoca il molto; al giardino che renda evidente come “la scarsità supera in bellezza la profusione, e che ci suggerisca piuttosto che esprimere compiutamente” (Chen Congzhou, 1990).

Che cosa possiamo trarre dall’attenta osservazione di questi irriproducibili giardini storici? Non certo un disegno da copiare per i nostri modesti, piccoli giardini pubblici, racchiusi nel costruito della città. Ma una lezione è traibile: un giardino, per quanto modesto, è sempre un racconto, è un tema narrativo, che bisogna saper svolgere con pochi essenziali elementi naturali, sapientemente collocati.

Non ci sono solo piccoli giardini, che possono rendere gradevole un angolo di città, ma anche giardini interni a servizi sociali come scuole, biblioteche, luoghi di ritrovo: in questi spazi racchiusisi ripropone, ogni volta, il tema del giardino in sé conchiuso e, forse, è anche inevitabile una scelta tra spazio del gioco e spazio della meditazione, senza escludere soluzioni che sappiano fondere questa duplice polarità.

liberamente estratto da "Il progetto del giardino" di Carlo Socco